STORIA DELLA CHIRURGIA DELLE VARICI
Fondazione dr. Glauco Bassi L. Tessari (Trieste)
Viviamo in un’era in cui da più parti si ravvisa l’impellente desiderio di passare alla storia o per una scoperta o per un’invenzione o per nuove tecniche operatorie che portino il proprio nome. |
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Un accenno ad un trattamento chirurgico delle varici viene fatto da HIPPOCRATE (460 – 377 a.C.) che sconsigliava i chirurghi dell’epoca ad incidere le varici in casi di gambe congestionate, violacee, edematose, nel timore di causare ulcerazioni croniche. |
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D’altra parte il celebre bassorilievo del Museo Nazionale di Atene che rappresenta una gamba affetta da una safena varicosa, magnificamente riprodotta in tutti i suoi particolari anatomici dimostra che già nel secolo quarto avanti Cristo vi erano pazienti che ringraziavano gli Dei per l’ottenuta guarigione delle vene varicose, non sappiamo se per opera umana o divina. |
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La più antica documentazione scritta di un trattamento delle varici veramente chirurgico è rappresentata dalle descrizioni di AULO CORNELIO CELSO (25 a.C. – 50 d.C.) i metodi di cura da lui descritti sono due e cioè col fuoco e con il ferro: nel primo, antesignano se vogliamo della scleroterapia che secondo l’autore meglio si addice alle varici rettilinee, non troppo voluminose, “incisa la cute e scoperta la varice, con un ferro rovente si cauterizza la vena per la lunghezza di quattro dita traverse, avendo cura di non scottare i bordi della ferita; nel secondo con il bisturi, invece, CELSO praticava una dissezione accurata della varice dai tessuti circostanti sollevandola con l’uso di uncini, la asportava resecandola senza legare gli estremi venosi come invece successivamente faranno GALENO ( 130 – 210 d.C.) ORIBASIO (325 – 403 d.C.) EZIO DI AMIDA (502 – 575 d.C.) e PAOLO EGINETA (607 – 690 d.C.); |
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quest’ultimo descrive in maniera particolareggiata questa tecnica: “si comincia con lo stringere un laccio alla radice della coscia perché le vene si inturgidiscano, si segna quindi con l’inchiostro il decorso della vena, coricato poi il paziente si stringe un secondo laccio al di sopra del ginocchio, si incide quindi la pelle lungo la linea segnata, si isola la varice dai tessuti circostanti, sollevandola con degli uncini, la si taglia e la si asporta, si passa poi un ago con il filo sotto il moncone venoso prossimale e distale e legandolo si ottiene un’ottima emostasi, si ravvicinano infine i margini della ferita.” |
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GALENO (130 – 210 d.C.) e ORIBASIO (325 – 403 d.C.) che però lo attribuisce ad ANTILLO descrivono un altro metodo di estirpazione delle varici: “un filo viene passato con la guida di uno specillo nella vena varicosa e legato con un estremo all’estremo della varice sezionata, quindi la trazione sull’altro capo del filo provoca l’asportazione della varice per arrovesciamento o invaginazione”, ed ecco le basi storiche dello stripping invaginato su filo poi mirabilmente descritto da KELLER nel 1905 e successivamente standardizzato da J. VAN DER STRICHT nel 1963. |
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AMBROGIO PARE’ (1510 – 1590 d.C.) chirurgo militare francese applicava sulla cute sovrastante la varice sostanze necrotizzanti allo scopo di provocare la trombosi, e praticava anch’esso come Paolo EGINETA la legatura delle varici al terzo medio della coscia. |
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A WILLIAM HARVEY (1578 – 1657 d.C.) medico ed anatomico inglese si deve nel 1628 la scoperta della circolazione sanguigna da lui descritta nel suo libro “ESERCITATIO ANATOMICA DE MOTU CORDIS”. |
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JEAN LOUIS PETIT (1674 – 1750) primo direttore dell’Accademia di chirurgia di Parigi eseguiva l’escissione radicale delle vene varicose e fra le cause eziologiche delle stesse nominava, la gravidanza, le giarrettiere strette, e la stazione eretta prolungata.
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Passiamo ora in rassegna alcuni degli interventi più significativi della fine del secolo scorso e degli albori di questo: |
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OPERAZIONE DI TRENDELEMBURG (1891): il chirurgo tedesco all’inizio legava la safena magna sopra il
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OPERAZIONE DI SCHEDE (1893): incisione circolare a monte ed a valle della varice o della piaga, non molto profonda, ma tale da interrompere tutto il circolo venoso superficiale a quei livelli. Tale tecnica venne modificata da MORESCHI (1894) che praticava lo stesso taglio ma più profondo fino all’aponeurosi muscolare. |
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OPERAZIONE DI RINDFLEISCH e di FRIEDEL (1908): consiste in un taglio spiroidale che incide cute e sotto- cute fino all’aponeurosi muscolare si può estendere a tutta la gamba ed a volte a parte della coscia. |
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Le varici sezionate vengono legate tra due lacci. Ad ovviare l’ingente edema dovuto all’interruzione della circolazione linfatica. KOCHER (1916) propose di incidere l’aponeurosi muscolare per favorire l’anastomosi fra i linfatici superficiali e profondi. Si tratta in complesso di interventi piuttosto traumatizzanti seguiti da un’alta percentuale di recidive (67% MILLER) che lasciano cicatrici deturpanti, per questo alcuni Autori cercarono pur mantenendo il principio della necessità dell’interruzione della safena di semplificarne la tecnica o modificando la stessa o ricorrendo all’uso di speciali strumenti. |
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Arriviamo quindi a descrivere i quattro interventi chirurgici che sono tuttora, pur con le modifiche apportate dai vari Autori nel corso dell’ultimo secolo, i cardini della Flebochirurgia del ventesimo secolo ed ancora in uso da parte di molti flebochirurghi, non senza aver prima ricordato che WILLIAM MOORE (1859 – 1927) già dal 1896 insisteva sulla ambulatorietà della terapia chirurgica delle vene varicose come poi sostenne e divulgò DE TAKATS nel 1930 e come finalmente attualmente noi pratichiamo. |
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OPERAZIONE DI NARATH (1904): consiste nella legatura in alto della safena, si praticano poi diverse incisioni sul decorso della vena ectasica a distanza di 10-12 cm l’una dall’altra e si asporta per via sottocutanea il segmento intermedio. Con questo intervento NARATH precorre di molti anni l’attuale flebectomia per incisioni multiple ben codificata dal MULLER. |
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OPERAZIONE DI KELLER (1905): dopo aver legato la safena in alto si introduce un filo metallico nella stessa che viene legato all’estremo della vena da estirpare. La trazione delicata all’altro capo del filo provoca estirpazione della safena per invaginazione della stessa. Questo intervento molto simile a quello di ANTILLO precorre di anni l’attuale stripping invaginato su filo o su meches. |
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OPERAZIONE DI MAYO (1906) legata la safena in alto alla crosse. MAYO eseguiva la safenectomia per mezzo di un particolare strumento costituito da un’asta metallica munita alla punta di un anello tagliente che veniva fatto scorrere lungo la safena provocando la dissezione di tutte le collaterali e delle perforanti. Numerose sono le varianti di questa tecnica e le modifiche al tipo di strumento. Le ultime in ordine di tempo sono quelle di JEAN MARC TRAUCHESSEC e di STEFANO RICCI. |
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Negli anni vennero poi apportati perfezionamenti di tecnica (insistendo soprattutto su una meticolosa crossectomia allargata) e numerose modifiche allo strumentario (sostituendo le sfere fisse con ogive o cilindri intercambiabili più o meno taglienti (MYERS – OLIVIER) fino agli attuali stripper in teflon monouso o con l’uso di criosonde (LE PIVERT). |
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